Il Buon Osteopata

“Quando incontri una persona fredda, buia e spenta, riscaldala con le parole, illuminala con un sorriso e accendila … con il tuo ottimismo! “

Non importa che tipo di malattia ha quell’essere umano, ma che tipo di essere umano ha quella malattia!

Un buon osteopata deve essere molto preparato tecnicamente e professionalmente, occorre – Conoscenza, Sensibilità Manuale ed Intuito Clinico – ma serve solo questo? Io penso che la finalità terapeutica perseguita debba prevedere anche l’uso di capacità psicologiche speciali: capacità di ascolto e di partecipazione umana, pazienza, pulizia emotiva personale, equilibrio interiore, flessibilità, capacità di gestione della distanza emozionale, esperienza di vita, modestia e umiltà, capacità di incoraggiamento, in poche parole un buon osteopata deve saper stabilire un rapporto empatico con la persona da curare. Deve essere in grado di cogliere l’essere umano nella sua globalità, nella sua unità di corpo, anima e psiche. Parliamo quindi di osteopatia come di un aiuto totale, poiché le persone sofferenti e disabili, di qualunque natura sia la loro sofferenza e la loro disabilità, hanno necessità di essere aiutate nel fisico e nel morale, debbono imparare non soltanto a superare i loro deficit motori ma ad avere la forza, la volontà, il coraggio di farlo. Occorre loro insegnare che il dolore è l’unico mezzo a disposizione del nostro corpo, per suggerirci, consigliarci, stimolare la nostra attenzione e il nostro amor proprio, è fondamentale imparare a comprenderne i linguaggi e non limitarci solo a respingere o sopprimere il dolore sgradito spesso rivelatore di scomode ma importanti verità!

Ritengo che, sia sopprimere il segnale doloroso (non abbiamo tempo di ascoltare, abbiamo troppa fretta di fare altre cose!), sia ascoltare cosa dice e muoversi di conseguenza, non rappresentino scelte giuste o sbagliate in sé, perché le priorità sono diverse per ciascun individuo e anche per la stessa persona cambiano a seconda dei momenti, ma saper cogliere la differenza è il primo passo verso una trasformazione e un miglioramento della qualità della nostra vita. Come bene esprime il collega Andrea Ghedina: “Il lavoro dell’osteopata si iscrive in una relazione terapeutica di diverso valore, dove io – terapeuta – non guarisco, conscio di non averne il potere, ma bensì accompagno e il corpo diviene territorio di navigazione senza fine, tra le onde, a volte dolci e a volte impetuose del mare dell’esistenza ..”

“ La malattia prima ancora di essere il campo di competenza dei medici è il punto di crisi di una biografia”.   Umberto Galimberti – Filosofo

A proposito della Capacità di Ascolto…

Lo psicologo Albert Mehrabian, studioso della comunicazione non verbale, ha stabilito che soltanto il 7% di tutte le informazioni che ci arrivano da un discorso passa attraverso le parole; il restante, è comunicazione non verbale, e si divide in 38% che ci perviene dal tono di voce e il 55% arriva dai segnali di mani, occhi, braccia, gambe, piedi ecc. In pratica il corpo parla, ma non sempre ne comprendiamo il linguaggio e spesso ne fraintendiamo i messaggi. Cosi come ampiamente spiegato nel libro dello psicologo Vittorio Caprioglio “Il linguaggio del corpo”, se correttamente codificato tale linguaggio può risultare molto eloquente e raccontare emozioni, stati d’animo, desideri, affinità. Capirne i messaggi significa entrare in sintonia con i pazienti in un modo più profondo. Io amo ripetere che la vera carta d’identità con cui il paziente si presenta è il suo corpo. I diversi distretti corporei ci raccontano ognuno un pezzetto della nostra storia, ma la trama di questo racconto si può cogliere solo guardando le cose come una totalità.

Prestare attenzione a un paziente significa “ascoltare” una globalità di messaggi e per fare ciò occorre una grande pratica. Nessuno di noi è abituato a essere ascoltato e per il momento, tutti abbiamo un enorme bisogno di essere compresi.

Credo che per un corretto trattamento osteopatico sia utile, come primo requisito per un Buon Osteopata, la Presenza. E’ fondamentale essere ben “radicati e centrati” prima di cominciare ad ascoltare. Altro importante fattore, è saper spostare l’ascolto su se stessi e canalizzare l’attenzione totalmente sull’altra persona. Una corretta respirazione aiuta ad allontanare da se ogni preoccupazione o pensiero che possa influire sulla concentrazione che serve nella cura del paziente.

Non scordiamoci poi di evitare di rispondere al telefono, inviare messaggi o farci disturbare da altre persone mentre stiamo ascoltando il nostro paziente. La ricerca di un buon equilibrio nelle dinamiche relazionali con il paziente porta ad una maggiore consapevolezza e competenza nel nostro lavoro con risultati evidenti nella pratica quotidiana.

Il Buon Osteopata, proprio perché l’Osteopatia è definita medicina olistica, nella fase diagnostica dovrà tenere conto dell’individuo nel suo insieme fisico, psichico e spirituale, ma anche comprendere il suo rapporto con l’ambiente esterno e le possibili reazioni agli stimoli che da esso gli provengono. In questo gli studi di Epigenetica sono estremamente raffinati e interessanti. Come si legge nel libro “Osteopatia come Medicina di terreno” dei colleghi Osteopati M. Fornari, S. Matassoni e coll., ogni persona ha una propria precisa identità, ma è accomunata agli altri individui per similitudini genetiche, habitat e per abitudini alimentari, occorre quindi differenziare la scelta terapeutica adatta a quel singolo paziente. Applicare la Medicina di terreno significa anche valutare le nuove patologie che insorgono nel periodo storico: malattie autoimmuni, intolleranze alimentari, stress psichico, alta conflittualità sociale, malattie tumorali con le quali bisogna imparare a misurarsi ogni giorno e che costringono l’osteopata a sviluppare conoscenze sempre più adeguate.

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